Se nel Lago i cigni sono anziani
Monteverde rilegge la favola di Cechov con tanto di chirurgia estetica. Eccellente interpretazione con coup de théâtre
L’esercizio funambolico, cui da tempo il Teatro Comunale di Ferrara ci ha abituati, concerne la confezione di stagioni di danza in cui si passa da uno spettacolo complesso come Talk to the demon di Wim Vandekeybus a un Lago dei cigni poco tradizionale, da un focus sul Giappone a una Giselle desueta, dall’ultima coreografia italiana e internazionale a un Romeo e Giulietta in tango. Gli equilibri sono assicurati; il pubblico per ora plaude, proprio in eventi di segno opposto come i due cui abbiamo assistito. Nel teatrodanza di Wim Vandekeybus, giunto alla sua nona presenza in terra estense, il demonico ha analogie con il sacro. Talk to the Demon, restituito da otto splendidi performer di Ultima Vez, è una pièce basta su di un testo scritto dallo stesso coreografo-regista e video-maker fiammingo, e concerne l’arduo conflitto tra un ragazzino, portatore di verità scabrose e di innocenti domande e una piccola società adulta violenta, anaffettiva e spaesata. Tra fragili muri di legno sottile e un velo mosso dai frequenti trambusti che scuotono una scena senza suoni, lo scontro, molto verbale, ha qualcosa di ipnotico e selvaggio. Come la danza da baccante, attorno al bimbetto inerme, di una danzatrice molto simile a una furia materna inibita; sul suo costume compare una macchia rosso-sangue.
Scompaginata, ma con quel gusto, e fascino istintivamente sempre fisico, tipico di Vandekeybus, la pièce agguanta un argomento di stretta attualità quale il nostro rapporto con l’innocenza di chi cresce in una Waste Land (la nostra desolata terra) fitta di sogni derisori (la scena dei clown) e di ben pochi tangibili valori. Con un accostamento volutamente letterario (Talk to the Demon elude il Faust o testi simili), il coreografo Fabrizio Monteverde ha invece avvicinato la favola abissale del Lago al Canto dei cigni di Anton Cechov, un testo dedicato a un vecchio attore incline a ricordare, in un teatro spento, i successi di gioventù. Così, trattati con maschere deformi, parrucche nivee, sale e pepe, o anche rosso Geppetto, i quattordici, bravissimi danzatori del Balletto di Roma devono apparire caduchi, fragili e anziani. Quando si alzano a fatica dalla prima scena in cui sono distesi a terra, e sollevano qualche braccio a mo’ di collo del cigno, somigliano ai polverosi reietti del beckettiano e leggendario May B. della coreografa francese Maguy Marin.
Sotto la spinta di un inflessibile maestro in nero (alias il cattivo mago Rothbart) tutti devono raccogliere le forze per riallestire un Lago: sul palco, ingombro di variopinti costumi sgualciti reperiranno cambiandosi a vista, i costumi adatti. Tutù a frange stropicciate per una canuta Odette e per i quattro cignetti; costumi strapazzati per czardas, danza spagnola, tarantella. Il passo a due, sul famoso adagio del secondo atto originale, permane (mentre il resto della partitura è fatto a pezzi e spesso ripetuto ma con garbo) e possiede una qualità di movimento stanca e svenevole. Tra il canuto cigno bianco e il suo principe dalla parrucca rossa Geppetto corre un antico legame, poco apprezzato dal maestro di ballo (o Rothbart) già in lotta, e nel primo atto, con quel tipaccio fulvo, un po’ arrogante e forse più energico degli altri. Costui, infatti, all’apparizione del cigno nero, sempre sdrucito nel costume, ma giovane e sexy, si sottopone a qualche triste, e assai attuale trattamento per accondiscendere a donne più giovani. Non vediamo nulla: il danzatore offre la schiena ma la musica si interrompe, come già accaduto per l’introduzione di un soave canto russo, e si tramuta in un tintinnio ambiguo.
Monteverde risolve la simbolica ambiguità tra cigno bianco e nero, presentandole entrambe (come nello sfortunato debutto del balletto, nel 1877), solo che Odette, la buona, è vecchia e Odile, l’artificio, è giovane. Le due si picchiano e calci e pugni saranno riservati dalla vecchia Odette anche al principe dopo la sparizione dell’avvenente rivale entro un altro totem di costumi-stracci tutto rosso. Ma alla fine siamo in una favola da scena e magia. Quando l’anziana Odette si avvicina al cumulo “incantato” senza entrarci, si toglie, a sorpresa, la parrucca e svela la sua giovinezza, un invidiabile décolleté e due seni prosperosi…
E’ la beffa di un Lago dalle molte citazioni, spesso buffe come l’ottocentesco giuramento del principe del tutto fuori contesto, la colta montagna di stracci alla Pistoletto, i fondali ricchi di velluto rosso e blu. La danza, coerentemente, è snervata, e con quelle larvali visioni di cigni svaporanti in video, vorrebbe cantare, per gioco, la fine del gran balletto tardo-romantico, ritornando astutamente ai suoi esordi (cigno bianco e nero distinti). Ma quest’addio di sicuro non avverrà.
Il Sole 24 Ore
Marilena Guatterini – 16 novembre 2014