Trieste, Politeama Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Sala Assicurazioni Generali, 24 ottobre 2017
Con Bolero Trip/Tic la suggestione inizia a partire dal titolo: un trittico che evoca anche l’idea di viaggio, realizzato rispettivamente nel tempo, nello spazio e nel sogno, anche se l’onirico, unito all’archetipico e all’arcaico sono di fatto presenti in tutti i tre balletti sostenuti da musiche che ne esaltano i caratteri, ideati ognuno da una diversa coppia di coreografi e drammaturghi.
Il Balletto di Roma, la compagnia di danza che lo sta portando in scena, era stato fondato nel 1960 da Franca Bartolomei e da Walter Zappolini, mancato il giorno stesso della rappresentazione di Trieste che a lui è stata dedicata.
Lo spettacolo si è aperto con L’après-midi d’un faune (Resilienza) (coreografia di Giorgia Nardin e collaborazione alla drammaturgia di Gaia Clotilde) con le fascinose musiche dell’omonimo Prélude di Claude Debussy, precedute da un prologo svoltosi nel silenzio da Francesco Saverio Cavaliere cui sono seguiti, fuoriscena, dei suoni indistinti evocanti un tempo più che lontanissimo prodotti dalle voci degli altri ballerini che poco dopo sono apparsi. I movimenti, inizialmente lenti, si fanno via via più rapidi all’aumentare della musica unendo, in un gioco raffinato ed elegante, staticità a flessibilità estrema, riportando alla memoria alcune immagini presenti negli affreschi della reggia di Minosse a Creta. In questa interpretazione da Debussy non c’è soltanto l’incanto della musica, ma anche il fascino del poema di Mallarmé cui il compositore si era ispirato.
Ad esso è seguito Stormy (coreografia di Chiara Frigo e drammaturgia di Riccardo de Torrebruna). Qui la musica della Suite bergamasque, composte ancora da Debussy, ma questa volta per piano solo (qui con elaborazioni sonore di Mauro Casappa), è presa a spunto per raffigurare il bisogno umano di ricercare un altrove attraverso la potente analogia della migrazione di uno stormo di uccelli i quali trovano, lungo il loro libero percorso (e si torna a Creta), un Minotauro dai gesti stereotipati ma simbolici che ne condiziona i movimenti, crea ostacoli, impone scelte finché la ribellione, prima soltanto accennata, poi sempre più decisa e organizzata, porta il gruppo ad una nuova libertà, conquistata uccidendo il tiranno. Un gruppo di individui “volava” assieme ad altri mantenendo ognuno la propria individualità; il pericolo comune li ha uniti. Il viaggio proseguirà ora, per ognuno di loro, in modo completamente diverso.
Bolero – The head down tribe (coreografia di Francesca Pennini e drammaturgia di Angelo Pedroni) si ispira alla più che famosissima musica di Maurice Ravel attraverso una prospettiva che carica di vaga inquietudine il ritmo seducente e ammaliante che la contraddistingue: in scena ci sono infatti degli zombie che si muovono al ritmo ben noto, stregato e sempre più insistente, cercando di “catturare” l’unico essere umano ancora in vita. Il pericolo è dato dalla dipendenza dalla tecnologia irrimediabilmente pervasiva che tutto appiattisce e tutto livella. Gli zombie non incutono terrore, sono vestiti in modo comune, colorato e informale e l’inquietudine è data dalla ripetitività dei gesti e dal loro essere sostanzialmente uniformi, ben diversamente da quel che era avvenuto poco prima in Stormy.
Tre balletti diversi, ma tutti parimenti efficaci ed essenziali nei gesti, nei movimenti e pure nei costumi. I ballerini abili, versatili e ben affiatati hanno interpretato i rispettivi ruoli in modo esperto e competente, cui si è aggiunta una notevole dose di leggerezza espressiva.
Il pubblico presente ha apprezzato l’esecuzione con un lungo e meritato applauso.
CorrieredelloSpettacolo.it
Paola Pini – 24 ottobre 2017