Torna a Roma, al Teatro Quirino dal 17 al 22 dicembre, “Lo Schiaccianoci” del Balletto di Roma nella versione firmata da Massimiliano Volpini. Tra i richiami al famoso balletto di Natale, il coreografo reinventa la celebre trama raccontando una storia diversa, carica di atmosfere legate all’oggi: una favola moderna che trasporta il pubblico in un intenso e colorato viaggio.
A parlarne è proprio Massimiliano Volpini, che ci svela curiosità e dettagli legati alla sua ispirazione.
Come nasce l’idea di questa nuova versione de “Lo Schiaccianoci”?
L’idea è stata quella di conservare l’essenza del racconto originale (e della partitura), che non ho voluto stravolgere, ma semplicemente spostare nell’ambientazione: nel mio Schiaccianoci si esce dalla lussuosa casa addobbata a festa e ci si ritrova in strada, tra giovani senzatetto, lontani dalle luci e dal calore della ricca città.
Chi sono i personaggi?
I personaggi del mio racconto vivono al di qua di un muro, oltre il quale si immagina ci sia la parte bella e protetta della città; vivono degli scarti della società e tutto quello che fa parte del loro mondo è frutto dell’arte del riciclo con cui reinventano gli oggetti e la realtà che li circonda. Sono forse loro stessi dei ‘rifiuti’ di quella parte di mondo, ma sopravvivono grazie alla fantasia e alla speranza in un futuro diverso.
Chi è Clara, la protagonista del racconto originale, in questa versione coreografica?
Clara è l’essenza stessa del balletto, figura che resta anche in questa versione fedele allo spirito del racconto originale: la vediamo nel momento della crescita, nel passaggio da bambina a giovane donna in un percorso di formazione che è presente in tutte le versioni di Schiaccianoci. Qui però insegue un sogno di libertà che la porterà ad affrontare realmente l’avventura e ad oltrepassare il muro…
C’è poi un nuovo personaggio, il Fuggitivo. Chi è e cosa rappresenta nel racconto?
È uno dei ragazzi di strada, che prima di tutti sceglie di tentare la fuga dall’altra parte della città. Lo vediamo nel prologo passare attraverso un piccolo varco nel muro. Per coloro che restano, il giovane diventa una figura eroica, un mito, e in suo ricordo conservano il cappello d’aviatore, simbolo e immagine di ‘chi ce l’ha fatta’. È proprio questo il nostro Schiaccianoci, un oggetto, un’idea (così come nell’originale, in cui il soldatino-schiaccianoci è in fondo un sogno), che si trasforma nel simbolo di un successo, quello di chi ha compiuto il grande salto.
Chi è invece Drosselmeyer?
È una figura misteriosa, un signore che si prende cura dei ragazzi di strada, un tutore che li segue e protegge portando loro oggetti-regalo riciclati e recuperati chissà dove… È l’unico a sapere della via di accesso/fuga attraverso il muro e la tiene nascosta perché ne conosce le insidie: con gli occhi di un padre ritiene di proteggere i ragazzi da questa parte del muro, sebbene questo significhi per loro restare in una situazione di povertà e senza futuro.
E poi c’è il Re dei topi, che qui ha un’immagine diversa dall’originale…
Il mio Re dei Topi è il ‘capo dei vigilanti’, le guardie che difendono la parte ricca della città e che inseguono il Fuggitivo. Clara, che conserva il famoso cappello d’aviatore, viene catturata dai vigilanti perché la credono in collegamento con il giovane avventuriero. Drosselmeyer scatena allora la battaglia a cui da sempre ha preparato i ragazzi e a guidarla c’è proprio il Fuggitivo, pronto anche lui a sconfiggere le guardie. È qui che Clara e il giovane finalmente si incontrano: un momento romantico in cui i due ragazzi scoprono di condividere il sogno di un futuro diverso…
“Lo Schiaccianoci” è un balletto dalla doppia atmosfera: della realtà e del sogno. Cosa accade nel secondo atto?
Avviene tutto in un secondo nella mente di Clara: il Fuggitivo la porta di fronte al passaggio segreto nel muro e le chiede di andare via con lui. A quel punto l’emozione della ragazza è talmente grande da moltiplicarne la figura in un ‘sogno di neve’ e quel che vede da quel momento è un intero mondo di fantasia con abitanti bizzarri, abbigliati con quello che lei conosce: oggetti riciclati, ruote di bicicletta che si trasformano in tutù, tappi di bottiglia che diventano gioielli. La giovane adatta la sua immaginazione ad un mondo fantasioso in cui poter essere felice e libera. Il finale, che non svelo, ci ricondurrà alla realtà, di nuovo di fronte al muro: sarà lì che scopriremo la decisione di Clara…
Per le scene e i costumi sono stati utilizzati materiali di scarto, frutto di un riciclo creativo…
È la base concettuale della riscrittura drammaturgica perché ci ricorda come le cose, gli oggetti, possano avere una seconda vita, che può persino rivelarsi migliore, più ricca e fantasiosa della prima. Allo stesso modo, Clara decide di darsi una possibilità e di cambiare il proprio destino: questa è la chiave del lavoro. Le stesse scene ne rimarcano il senso: ci sono bidoni che diventano case e armature, carrelli che si trasformano in mezzi di battaglia. Tutto assume un’immagine e una natura diversa da quello per cui era stato progettato. E forse la coreografia stessa è frutto di un ‘riciclo’ perché reinventa e assembla diversi linguaggi in funzione di una nuova storia.
Qual è lo stile della coreografia?
Scaturisce innanzitutto dalla musica, seguendo passo passo le note di Čajkovskij. Ho utilizzato i diversi linguaggi che la danza offre, dal classico al contemporaneo, persino con qualche accenno di hip hop. Un utilizzo ampio e in libertà, senza pregiudizi o blocchi concettuali. Penso che in questo balletto ci sia molto del mio vocabolario coreografico e che mi rappresenti pienamente: è stata una sfida, ma l’ho accolta con entusiasmo perché mi piace creare una storia e portarla in scena. È anche il linguaggio per me più naturale e credo che il pubblico oggi senta il bisogno di tornare ad una danza narrativa e ad un teatro emozionale, che non metta in moto solo concetti ma anche stati d’animo.
Cosa vedranno gli spettatori di Roma che verranno al Teatro Quirino?
Uno spettacolo per tutti, con più livelli di visione e comprensione: uno immediato, per i giovanissimi, accanto ad una lettura più profonda. Quello che mi rende orgoglioso è che chi conosce bene il tradizionale Schiaccianoci potrà trovare qui un profondo rispetto per la partitura e il racconto originale, ma nello stesso tempo una rilettura nuova. Insomma un differente punto di vista sulla storia, restando fedeli alla natura del balletto. È inoltre per spettatori di tutte le età e anche chi non ha una specifica formazione in danza trascorrerà con noi un’ora e mezza di buon teatro nel più puro spirito del Natale!