La nuova stagione del Balletto di Roma si aprirà a settembre con la produzione dal titolo “L’albero dei sogni” nata dall’incontro tra la direttrice artistica della compagnia, Francesca Magnini, il compositore Riccardo Joshua Moretti e il coreografo Valerio Longo.
Al centro dell’ispirazione, l’immagine dell’albero, simbolo di vita e appartenenza, ideale strumento di raccordo tra la terra, l’umanità e il cielo. Saranno la musica e la danza, in un inedito dialogo tra accordi e gesti, a disegnare in palcoscenico i contorni dei nostri sogni, compagni e guide della storia e del nostro presente.
A parlarci della nuova creazione è Riccardo Joshua Moretti, compositore, musicista e direttore d’orchestra, figura di spicco nel panorama musicale internazionale: artista eclettico, è autore di numerosi progetti multidisciplinari per il teatro, il cinema e la danza (tra le collaborazioni, quella di lunga data con Lindsey Kemp Company). Docente al Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma, il maestro Moretti è attualmente anche coordinatore della Commissione Cultura Nazionale dell’UCEI, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
Alla vigilia della collaborazione con il Balletto di Roma, ci parla de “L’albero dei sogni”, svelando alcune fondamentali chiavi di lettura del lavoro che debutterà il 15 settembre 2019 al Teatro Farnese di Parma con la coreografia di Valerio Longo e i danzatori Giulia Strambini e Paolo Barbonaglia.
Come nasce il progetto de “L’albero dei sogni”?
Nasce tutto dall’incontro tra la mia musica, il coreografo Valerio Longo, il direttore del Balletto di Roma Luciano Carratoni e la direttrice artistica Francesca Magnini: una realtà che si è verificata in modo spontaneo e in un ambiente straordinario. Da tempo desideravo trovare questo equilibrio tra quel che scrivo e quello che viene prodotto in scena: l’incontro con Valerio e con una compagnia che mi affida due ballerini giovani, lontani dalle traversie della vita, parla già di una ‘purezza interpretativa’ che considero alla base della realizzazione del lavoro.
Come si articolerà in palcoscenico?
“L’albero dei sogni” nasce strutturalmente come un recital, o meglio un dialogo tra il pianoforte e due corpi: è come un incontro ‘amoroso’ che funziona solo quando tra musica e corpo si crea un’unione sostanzialmente equilibrata. Sarò in scena, al centro, con i due corpi che danzano: questo non significa che la musica sia la sola protagonista, ma che possiede uno spessore in grado di esprimere quello che a parole non si può dire; è poi grazie alla plasticità della danza che essa acquisisce, in un connubio ideale, un’essenza profondamente affascinante e mistica. È questa l’unione che desidero realizzare e che Valerio Longo e il Balletto di Roma hanno immediatamente colto nel progetto.
Come nasce la partitura musicale de “L’albero dei sogni”?
Sto lavorando su alcuni brani già esistenti, da me composti, e su altri creativamente nati nel pensiero e registrati pochi giorni fa, nonché su pezzi nuovi, nati proprio in funzione di questo lavoro. Tra quelli già scritti ce ne è uno a cui tengo molto e che aprirà il recital: fa parte della colonna sonora che ho scritto per un film (Tre quartine e un addio, ndr) recentemente presentato alla Festa del Cinema di Roma. Il regista, Fariborz Kamkari, utilizza nel cinema il nostro stesso linguaggio, quello dell’anima: per questo ho pensato subito di inserire il brano, in versione per pianoforte, nella partitura de “L’albero dei sogni”.
Che genere di musica ascolteremo ne “L’albero dei sogni”?
Quando l’unica realtà musicale in scena è il pianoforte è necessario che questo sia ‘multifaccia’; per fortuna si tratta si uno strumento in grado di ‘cambiare pelle’ a seconda del modo in cui viene suonato. La mia composizione si lega alle musiche minimaliste, di cui è stato precursore Philip Glass, portate oggi avanti da autori (principalmente europei) che stabiliscono l’essenziale, facendo a meno di ogni possibile orpello. Nella partitura ho dunque cercato di togliere ogni aspetto virtuosistico, puntando ad un equilibrio, non una nota di più né una di meno.
Qual è il significato dell’albero presente nel titolo?
L’essenza dell’albero ha due posizioni bibliche consolidate: all’inizio della creazione del mondo il Padre Eterno mostra all’uomo e alla donna l’Albero della Vita e dà loro un unico precetto, quello di non mangiare dall’Albero della Vita e della Morte. C’è in questa simbologia l’essenza stessa della vita e, di fronte ad essa, la nostra fragilità. A questo si collega anche un aspetto cabalistico, che fa riferimento all’Albero Sefirotico: le 10 Sefirot sono delle ‘misure’, come ‘frutti attaccati all’albero’, che rappresentano l’intera energia che il Padre Eterno ha infuso nella realizzazione delle cose. Conoscendo le dieci misure capisci come a tutto ciò che esiste appartenga l’energia particolare che Dio ha infuso nell’universo. Noi possiamo vedere la potenza del Padre Eterno solo attraverso la realtà delle cose e ognuna di esse ha in sé un piccolo residuo di luce divina. L’albero ha poi un altro aspetto simbolico straordinario: non chiede se vuole o non vuole i frutti, li dà a prescindere. È un atto d’amore, il più puro che si possa concepire e recepire, e rappresenta ciò che il Padre Eterno fa nei confronti dell’umanità e delle cose. È l’essenza della vita.
E qual è invece il senso dei sogni?
Anche questo nel testo biblico è essenziale. Uno dei più grandi personaggi dei cinque Libri di Mosè è Joseph, figlio di Giacobbe, conosciuto anche come l’’uomo che interpreta i sogni’; la sua storia inizia e finisce con un sogno che gli predice la sua stessa vita e in forma traslata, nei secoli, quella del popolo di Israele. L’esperienza onirica è per sua stessa natura incontrollabile: i sogni possono ripercorrere esperienze quotidiane, ma più spesso contengono simbologie non immediatamente comprensibili. Quando queste si ripetono in forma ricorrente sono come dei messaggi che giungono a noi dal Padre Eterno. Non da ultimo, ricordiamo che nel Talmud, letteratura infinita senza la quale il popolo ebraico sarebbe povero di conoscenza, c’è proprio un capitolo sull’Interpretazione dei Sogni. Uno degli uomini più esperti di Talmud era il padre di Sigmund Freud, il quale probabilmente non avrebbe mai potuto scrivere le sue opere senza questo fondamentale background, modificando i termini da ‘anima’ ad ‘inconscio’.
Quando e dove vedremo in scena “L’albero dei sogni”?
Il debutto della creazione sarà al Teatro Farnese di Parma, il 15 settembre 2019, in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica. Contiamo inoltre su un’ulteriore rappresentazione per il prossimo 27 gennaio 2020, nel Giorno della Memoria, al Teatro Goldoni di Venezia, comunità affascinante e bellissima.
Sono date molto importanti che rappresentano, insieme, un significativo ‘scambio’. Il 15 settembre l’ebraismo europeo offre al mondo la propria cultura e memoria, mentre il 27 gennaio, data in cui è lo Stato a parlare di noi, siamo noi a ‘ricevere’. C’è da dire che il luogo in cui meno si parla della Shoah è proprio all’interno della comunità perché è per noi un dolore troppo grande; è come una malattia che coinvolge una famiglia intera. Cerchiamo di esorcizzarlo, ma non possiamo religiosamente o laicamente dare un perché a quello che è successo, è presente dentro di noi ogni ora del giorno e ognuno di noi sente il ‘difetto’ dell’essere sopravvissuto: ne parliamo meno perché non abbiamo risposte possibili. L’unica cosa per noi veramente importante è il ricordo, aspetto fondamentale dell’essenza ebraica: ricordiamo la nostra storia in ogni momento. È giusto che lo Stato dia l’opportunità di ‘ricordare’, affinché queste cose uniche e terribili non finiscano nell’oblio. Sono giornate intense nelle quali ci sentiamo disponibili verso tutto ciò che possa far riflettere su come sia facile prendere un popolo e cercare di estirparlo: un monito per tutto il resto.
Musica e danza: come si realizza questo incontro ideale?
La musica possiede un’immediatezza creativa forte e nella sua dinamica arriva direttamente al cuore perché è nelle sue qualità essenziali. Si trasforma nel tempo, nell’evoluzione di un andamento irripetibile, e può trasmettere in suoni anche quello che è impossibile esprimere a parole. Nello stesso tempo, quello che la musica contiene in sé, nella propria creatività, può essere realizzato in palcoscenico dalla danza, che ne articola la drammaturgia dandole essenza sostanziale e forme plastiche. I suoni sono impalpabili, inafferrabili: la danza è in grado di esprimere un’essenza materica che solo il corpo può esplicare, mettendo in moto uno straordinario atto di poesia. Non conta quale delle due forme nasca per prima, ma il ‘modo’ in cui questa unione si realizza.
Qual è oggi il loro possibile ruolo?
Viviamo in un periodo in cui ogni cosa viene espressa in modo settoriale per servire solo al momento e a chi ne fa uso. Difficilmente sentiamo grandi filosofi o politici in grado di dire cose non di parte. Noi artisti siamo persone fortunate perché abbiamo la possibilità di esprimerci con un linguaggio universale. Questo è per me il più grande dono che Dio mi abbia dato. Dobbiamo cercare il più possibile di nobilitare l’animo di chi ci ascolta e guarda: questo è il nostro ruolo, educare alle cose buone, belle, alle armonie, alla conoscenza. Un atto urgente, talmente imperante che dovremmo lottare per questo, abbandonando il nostro ego e riconoscendoci ‘strumenti’ e ‘trasmettitori’.
Cosa si aspetta da questa prima collaborazione con il Balletto di Roma e come lavorerà in sala con i danzatori e con il coreografo?
So che il Balletto di Roma, Valerio Longo e i danzatori, Giulia e Paolo, metteranno il cuore, i muscoli, i nervi, la fatica. Provo un profondo rispetto per il loro lavoro e il loro sudore, e sono felice di mettere la mia musica al loro servizio. Sono persone intelligenti e sensibili che, sono certo, mi daranno di più di qualunque cosa io possa pensare oggi: mi aspetto dunque di provare una grande emozione nel vedere quello che verrà impresso nella mia musica. Guarderò al lavoro come se fossi uno spettatore e sono certo che mi riempirà il cuore perché è da lì che nasce tutto.