Ultimo appuntamento con il percorso di approfondimento su Giselle, in un articolo che riunisce molti spunti e che si interroga su cosa si possa definire “buono” o “cattivo” in una storia: ecco perché Susanne Franco, docente universitaria e storica della danza, intitola questo articolo a favore delle Villi…
Del balletto Giselle, où les Willis (1841), come recita il titolo originale, si tende perlopiù a ricordare i soli, i passi a due e il finale tragico del primo atto, la tenerezza ispirata dalla protagonista femminile e le straordinarie evoluzioni del corpo di ballo nel secondo atto. A questo si aggiunge l’insegnamento che questo balletto sembra ribadire, ovvero che il valore del perdono e della redenzione, grazie alla purezza di cuore di Giselle, porta alla salvezza di Albrecht. Questo però è il finale della versione che conosciamo noi e non quello andato in scena inizialmente. Anche la ricezione di Giselle si è trasformata nel corso dei decenni al punto che se vedessimo oggi la versione del 1841 ci renderemmo conto di non essere nemmeno più in grado di decodificare le parti in pantomima che erano funzionali a raccontare la storia. Del resto, proprio per adattarsi al gusto del pubblico, Giselle è stato rimaneggiato sul piano drammaturgico e oramai la danza predomina sulla pantomima, che era invece l’elemento prevalente nella versione iniziale. A ciò si aggiunge l’influenza che le rivisitazioni in chiave contemporanea susseguitesi dal ‘900 in avanti (alcune delle quali divenute altrettanto classiche) hanno esercitato sul modo in cui sono allestite le versioni più o meno fedeli a quella considerata “originale”.
Se tutto questo ci dà la misura delle inevitabili trasformazioni a cui il genere balletto e la danza in senso lato va incontro nel passare di corpo in corpo, di compagnia in compagnia e di epoca in epoca, in cosa consiste il fascino, oramai così longevo, di Giselle? Cosa racconta questo balletto?
Racconta la storia di una giovane e ingenua contadina, Giselle, amata da un guardiacaccia, Hilarion, e che s’invaghisce di un aristocratico arrivato nel loro villaggio durante una battuta di caccia e travestitosi da suo pari per conquistarla, malgrado anche lui sia già fidanzato con la nobile Bathilde.
Hilarion si accorge del travestimento di Albrecht e mette in guardia Giselle ma questo non salva la sua amata da un finale tragico. Scoperto il tradimento Giselle, infatti, impazzisce e muore per riapparire nel secondo atto nei panni di una villi. Secondo antiche leggende slave, le villi sono spiriti di donne morte prima di convolare a nozze e che di notte popolano i boschi dove si vendicano con qualunque uomo facendolo danzare fino allo stremo. La loro regina è Myrtha, che Giselle supplica inutilmente di risparmiare Albrecht. Dovrà invece obbedire agli ordini e fare danzare Albrecht fino allo stremo, salvo approfittare del fatto che con le prime luci dell’alba il potere delle villi svanisce e proprio in quel momento riesce a salvare il suo amato avvicinandolo alla croce della sua tomba il cui raggio di azione funziona come uno scudo rispetto al volere di Myrtha.
Nella versione iniziale, Giselle, non solo perdonava Albrecht, ma lo riportava anche tra le braccia di
Bathilde per ripristinare l’ordine sociale preesistente, l’amore tra pari rango, che andava suggellato dal matrimonio e non da una danza frenetica e notturna, come era stato per quello tra Giselle e Albrecht.
Questo ordine sociale e questo ideale femminile erano strettamente funzionali alla preservazione delle strutture politiche patriarcali che allora esercitavano il potere e che per legittimarlo facevano un uso politico anche dei valori cristiani. L’Europa monarchica era un’Europa che si voleva cristiana.
Ma perché questo balletto è stato creato ed è divenuto così famoso? Le risposte a questa domanda sono moltissime e le ragioni storiche si sommano a quelle strettamente artistiche e legate al mondo della danza. Tuttavia, alcuni elementi di questo successo e della sua capacità di fare presa sul pubblico si sono persi o meglio trasformati nel tempo al punto che rischiamo di non coglierne più l’intera portata estetica e ideologica. E rischiamo anche di appiattire la trama e i suoi significati sulla tensione tra opposti, le forze del bene e quelle del male, amore puro e abiezione, perdono e vendetta, e così via. Se invece teniamo presente il contesto storico in cui fu creato, possiamo cogliere alcuni dettagli della sua implicita carica ideologica e comprenderne meglio la struttura.
Giselle, où les Willis fu creato meno di una trentina d’anni dopo il Congresso di Vienna, che aveva ridisegnato la carta dell’Europa e ripristinato l’Ancien régime dopo gli sconvolgimenti apportati dalla Rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche. La strategia politica della restaurazione del potere monarchico aveva bisogno di conferme a tutti i livelli della cultura e il balletto è sempre stato uno strumento politico di straordinaria efficacia per la sua capacità di comunicare con la danza messaggi e ideologie. Se ancora oggi vediamo in Giselle il simbolo del perdono cristiano e siamo affezionati alla sua immagine così pura da farci commuovere, siamo forse meno sensibili nel cogliere a pieno il ruolo delle villi e la complessa e stratificata iconografia che dà loro corpo, finendo per condannarle a protagoniste in negativo di questo balletto.
A ben vedere le villi, che già Gautier, ispirato dalla sua lettura di de L’Allemagne di Heinrich Heine, trasformò da esseri che provano una gioia che incuteva paura a esseri che provano una gioia perfida, sono abitanti in un mondo ultra-terreno, in cui vigono regole diverse da quelle condivise dalla nostra società. Affascinanti e mortifere, le villi sono come sensuali baccanti capaci di trasformare la notte da luogo di tenebre a spazio animato dalla danza e dalle passioni irresistibili. Si sono organizzate secondo regole diverse da quelle degli umani, dopo le delusioni che hanno patito in vita all’interno di un’organizzazione sociale patriarcale. Nel loro regno cercano di applicare una legge diversa, vale a dire danzare, dare libero sfogo alle passioni che significa anche poter legittimamente esprimere i loro desideri e sottomettere non solo chi non le ha rispettate in vita, ma anche chi pretende di entrare indisturbato nel loro mondo senza accettarne le regole. E non è un caso che la danza esploda proprio nel secondo atto come la passione, compresa quella tra Giselle e Albrecht, che solo qui finalmente si lasciano andare a un passo a due capace di unire i loro corpi e i loro destini per pochi, intensissimi istanti. E non è un caso che solo ora Giselle, sotto l’autorità di Myrtha, può manifestare a pieno il suo amore per la danza senza essere sottoposta a sguardi di disapprovazione o rimprovero da parte degli altri abitanti del villaggio e della madre. Eppure le villi spaventavano all’epoca anche perché agli occhi degli spettatori potevano assumere il volto delle donne sulle barricate durante la Rivoluzione, o quello di Marianne in La Libertà che guida il popolo di Eugène Delacroix (1830), che immortalò la lotta dei parigini contro la politica reazionaria di Carlo X di Francia. Per quel pubblico le villi avevano i volti (e i corpi) di donne finalmente consapevoli del loro ruolo nella società e in nome di ideali – libertà, uguaglianza, fraternità! – a cui dovremmo essere affezionati almeno tanto quanto siamo affezionati al perdono. Quelle rivoluzionarie lottavano sulle barricate per ribellarsi a un modello politico oramai intollerabile e a un modello maschile insopportabile che, travestito da volontà divina, le aveva private dei loro diritti di cittadine e di donne.
Oggi probabilmente dovremmo vedere in loro i volti delle soldatesse curde del reggimento femminile dei peshmerga, che combattono da anni per la libertà e loro e dei loro concittadini. E forse questo esempio ci aiuta a ricordare che, senza rinnegare il valore del perdono e della redenzione, difendersi dai soprusi, reagire agli attacchi, essere chiamati in guerra per difendere un popolo, un territorio, un credo religioso o un assetto politico comporta la gestione della violenza. Sarebbe bello poter dire che la violenza non serve mai e poter guardare indietro nella storia e ammirare come senza nessuna violenza le donne hanno potuto affermare i loro diritti e le loro idee, ed esprimere i loro desideri. Ma sappiamo che non è stato così. Allora perché non stare con le villi? Io oggi sto con le villi perché credo che per capire un balletto dell’Ottocento possiamo leggerlo unicamente dal nostro presente e interrogarci e interrogarlo per mettere a fuoco le dinamiche individuali e sociali che regolano (e hanno regolato) le nostre vite. Forse è venuto il momento di non dare per scontato chi sia il protagonista cattivo e chi quello buono. Anche la fantasia, come la realtà, è sempre più complessa e per questo, se indagata in profondità, non smette di esercitare il suo fascino.
Susanne Franco