Trasmettere Takeya – Intervista a Chiara Frigo

Chiara Frigo, coreografa contemporanea ormai molto nota sulla scena italiana e non solo, ha trasmesso ai danzatori del triennio del corso professionale di contemporaneo la coreografia Takeya, un lavoro di danza contemporanea molto articolato e complesso con cui la coreografa veronese si è affermata sulla scena indipendente internazionale.
E’ stata un’esperienza che ha arricchito tutti i partecipanti, e che Chiara Frigo ci ha raccontato così, raccontandoci un po’ anche di sé…

chiara-frigo-02Come si passa da una laurea in biologia molecolare alla danza contemporanea?
In realtà non è un passaggio, le due cose convivevano da tempo, forse la danza ha accompagnato per più tempo la mia vita, perché ho iniziato a danzare piccolissima e poi non ho più smesso! Mentre la passione per la biologia è, a suo modo, una cosa che ho coltivato per anni e poi è sfociata nella laurea. Inizialmente ammetto che sentivo le due cose come distaccate, non trovavo punti di contatto per farle combaciare, poi col tempo ho capito che sono molto legate, perché sempre di ricerca si tratta, solo che prima era sul dna e adesso è puramente artistica. Credo che proprio la mia forma mentis sia inconsciamente ormai legata al percorso di una laurea scientifica.

Come crei una coreografia?
Un mio lavoro nasce sempre più dall’ascolto delle esigenze dell’opera: mi lascio sempre di più portare dal dialogo del processo creativo, piuttosto che avere una metodologia imposta. La creazione di Takeya, ad esempio, ha avuto un percorso molto diverso da quella di West End. Però se dovessimo proprio trovare quello che li accomuna è il non cercare fin dall’inizio di imporre alle idee una forma; certamente all’inizio c’è un’idea iniziale, ma serve ascoltare l’esigenza della creazione: per Takeya si trattava di sedersi su una sedia e attraversare il materiale della creazione.

Continuiamo ad ascoltare Takeya, allora…come hai creato e lavorato nello specifico su Takeya, che è un lavoro sulla velocità?
È stato il mio primo vero lavoro forse: avevo creato un piccolo assolo prima, che aveva anche vinto un premio, ma è questo il lavoro che mi ha fatto conoscere al pubblico e all’ambiente della danza. Lo considero quindi la mia prima opera compiuta.
All’inizio stavo ricercando sul tema della velocità, poi sono arrivati ad arricchire questo percorso anche degli altri materiali; al tempo c’era anche del materiale letterario: c’erano le Lezioni Americane di Calvino, c’era Valéry con i suoi scritti sulla velocità… Forse in Takeya si è delineato chiaramente quello che è il mio interesse coreografico: da una parte il movimento, il gesto, e in quel caso anche una sorta di virtuosismo; e dall’altro un lavoro interno come interprete che è tanto importante quanto quello del movimento.

Qual è stato il lavoro di trasmissione della coreografia ai partecipanti al corso professionale di bdr?
Abbiamo lavorato per due settimane: la prima settimana ho trasferito il materiale del solo originale, e in qualche maniera quando si passa un repertorio è necessaria questa fase di trasferimento, che cerco di non fare in maniera meccanica ma cercando di passare questo sottotesto che va di pari passo con la coreografia. La seconda settimana ho ricostruito la coreografia su quattordici elementi ed è diventata una nuova cosa, partendo dal materiale di partenza per approdare alla realizzazione di un video…che sono impaziente di vedere!

Cosa intendiamo con “esplorazione collettiva” di una coreografia? Come si crea un gruppo da un assolo?
Questo è stato abbastanza semplice, o almeno ho cercato di adottare un modulo semplice. Takeya ha una complessità al suo interno e quindi sia per il trasferimento del materiale sia per la ricostruzione ho cercato un metodo che fosse più semplice possibile. Concretamente, tutti e quattordici i danzatori sono insieme in uno stesso ambiente ma, essendo Takeya basato sull’individuo, ho cercato di far emergere le loro quattordici diverse individualità pur sotto una coreografia comune. E l’ho fatto anche rendendoli un po’ partecipi come autori di una parte della coreografia, ad esempio, perché mi sembrava giusto dare loro questa opportunità, ma anche questa responsabilità. Ad esempio il rallenty iniziale emerge da un mio vissuto, e ho cercato di far riportare loro un determinato stato da cui far emergere il loro vissuto.

I tuoi prossimi progetti?
Sono molto concentrata su West End, che ha debuttato a Roma da poco e sono concentrata con tutta la crew su questo progetto, nel dargli una forma internazionale, non solo per creare un calendario, ma perché credo che un lavoro si approfondisca tramite il pubblico.
Allo stesso tempo sto cercando di sviluppare Ballroom, che assumerà una versione internazionale (di nuovo, dato che è nato a Maastricht…ma poi ha girato l’Italia!).
E poi sono di già alla ricerca del nuovo lavoro, che però è agli inizi…non ti svelerò altro! Intanto West end sarà in scena il 6 dicembre al Teatro del Lido di Ostia!

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