Nuovo Progetto 2017 | il 5 maggio al Festival Fabbrica Europa
Protagonisti del progetto, la danzatrice e coreografa del Balletto di Roma Roberta Racis, il chitarrista Francesco Diodati e il batterista Ermanno Baron.
Qualcosa della verità dell’essere e dell’esserci.
Ci conduce a muoverci, negarci, superarci, distaccarci da noi stessi e ritrovarci di nuovo.
L’impossibilità del corpo di rimanere in se stesso rivela la ragione del suo divenire e la sua essenza più profonda: mutare per esistere, conoscere per riconoscersi.
La volontà di creare, di amare, di cambiare, di distruggere i mutamenti interiori, capaci di produrre cambiamenti tanto vari quanto le circostanze che attraversiamo, rivelano il senso e la ragione del nostro divenire: mutarsi e restare, muoversi e vivere.
“Ho immaginato un viaggio che Ermanno, Francesco ed io compiamo insieme – racconta Roberta Racis a proposito di BORDERS – un viaggio che inizia da un’immaginaria superficie riflettente: uno specchio, un corso d’acqua, il finestrino di un treno. È il lago delle Metamorfosi di Ovidio, in cui Narciso vede per la prima volta la propria immagine riflessa. Non parlo di ‘narcisismo’, ma di qualcosa di sotteso al racconto: il veggente Tiresia profetizza che Narciso vivrà sino a tarda età ‘si se non noverit’. Alla traduzione ‘sempre che non si veda’, preferisco quella sostenuta da diversi studiosi ‘purché non si riconosca’. Dalla lettura del mito si evince come la morte di Narciso non sia riconducibile al mero fatto di aver visto l’immagine riflessa, ma al fatto che l’abbia riconosciuta come propria, in altre parole, che ‘si sia riconosciuto’. Per vedersi, uno specchio non è sufficiente, occorre riconoscervisi. Francesco, Ermanno ed io non ci lasciamo perire come Narciso, intraprendiamo un viaggio per imparare a riconoscerci. Questo viaggio di autocomprensione ci porta all’esterno, dal centro alla periferia. Non è solo un ricordo o una cronologia in senso evolutivo, è una geografia interiore dall’essere al conoscere per riconoscersi.
L’immagine di noi scivola e si slancia verso il fuori. Il mio corpo è la forma grafica del viaggio e percependosi all’esterno di se stesso trova la propria topografia, analizza lo spazio. La musica scandisce l’avvento nello spazio, il tempo della percezione, della scoperta, della paura e del desiderio, e rivela l’andamento della sensibilità, la sua naturale inclinazione a subire accelerazioni e decelerazioni. La partitura musicale è struttura sonora e temporale dello spazio emotivo: agita, incalza, consola, spaventa, seduce; coincide o stride con la dimensione accelerata o reale dell’emotività, testimonia e partecipa di una evoluzione che insieme ci porta ad inseguire desideri e possibilità. È un viaggio, a tratti, dal sapore favolistico. Lo abbiamo costruito insieme, ed io come una sorta di Alice di Lewis Carroll mi ingrandisco, mi rimpicciolisco, mi trasformo. Il ‘fuori’ diventa lo specchio in cui guardiamo ciò che abbiamo appreso di noi, dove abbiamo imparato a riconoscerci”.