“L’albero dei sogni” | Intervista a Valerio Longo

Debutterà il prossimo 15 settembre, al Teatro Farnese di Parma, la nuova produzione dal titolo “L’albero dei sogni” nata dalla collaborazione tra il Balletto di Roma, il compositore Riccardo Joshua Moretti e il coreografo Valerio Longo.
Partendo dall’immagine dell’albero, simbolo di solidità, evoluzione e rinascita, la creazione dà vita ad un inedito dialogo tra la danza e la musica dal vivo, scorrendo lungo i confini del terreno e dell’ultraterreno, della realtà e del sogno, dell’esteriore e dell’invisibile. Una riflessione dalle molteplici suggestioni che, pur ancorata alla mistica e alla letteratura ebraica, lascia infine alla danza e alla musica la possibilità di trasformarsi in strumenti universali d’espressione, abbracciando significati che appartengono a tutti: all’uomo e alla vita.

Ad introdurci il nuovo progetto, lo stesso Valerio Longo, alla sua prima collaborazione con il Balletto di Roma come autore della coreografia per la coppia di interpreti Giulia Strambini e Paolo Barbonaglia. Già acclamato dal pubblico e dalla critica durante la lunga carriera in Aterballetto, Valerio Longo è da alcuni anni un apprezzato coreografo, richiesto da alcune delle più importanti realtà italiane e internazionali. Recentemente, è stato tra gli autori ospiti del Festival Colours – Meet the Talents di Stoccarda (presentato da Eric Gauthier) e coreografo di una nuova creazione per il Teatro Massimo di Palermo.
Ci racconta qui della nascita del nuovo titolo e dell’incontro con il Balletto di Roma, svelando qualche anticipazione su quello che vedremo in scena.

Come nasce l’idea de “L’albero dei sogni”?
È iniziato tutto dall’incontro con il maestro Riccardo Joshua Moretti, che ho avuto il piacere di conoscere personalmente a Parma, nel suo studio, circa due anni fa. Ero già a conoscenza della sua carriera, ma è durante quell’incontro che ho scoperto di avere con lui tanti pensieri in comune legati al teatro, alla danza e, soprattutto, al legame profondo tra ciò che avviene in palcoscenico e qualcosa che è al di sopra di tutti noi, come un ‘senso mistico’ che appartiene, naturalmente, all’arte. Abbiamo deciso di lavorare insieme e l’occasione si è presentata, grazie al coinvolgimento del Balletto di Roma e su iniziativa del direttore generale Luciano Carratoni e della direttrice artistica Francesca Magnini, con “L’albero dei sogni”. Il progetto nasce su una partitura del maestro Moretti e vi porta dentro la danza, in quanto ulteriore strumento di espressione e condivisione di quell’aspetto di ‘trascendenza’ che caratterizza tutta l’arte. Credo da sempre che la danza non sia ‘mia’, né di nessun altro, ma qualcosa di preesistente di cui siamo parte e che abbiamo il compito di esprimere, come se fossimo un ‘filtro’.

Qual è il significato del titolo?
L’immagine dell’albero, che affonda le sue radici nella terra e contemporaneamente si proietta verso il cielo, racchiude in sé questa idea del passaggio ‘dall’alto’ all’uomo, così come dall’individuale all’universale; passaggio che avviene anche attraverso i sogni, messaggi sospesi tra forme reali e invisibili. Non c’è nulla di più profondo di un soggetto come questo, che accomuna tutti, che condividiamo in quanto comunità e che rappresenta la vita stessa. Si tratta di un tema che mi appassiona particolarmente perché tocca temi che mi coinvolgono da vicino, sui quali si è sempre basata la mia ispirazione di ballerino e oggi di coreografo.

Come si articolerà la coreografia?
Lo sviluppo è impostato sulla musica, che sto ascoltando in questi giorni con grande attenzione, andando oltre la mia personale sensibilità e cercando di comprenderne il senso profondo. La danza interverrà condividendo il palcoscenico con la musica e seguendone il ‘racconto’: sento la necessità di far interagire i corpi dei due danzatori tra loro e contemporaneamente con i valori espressi e nascosti della partitura. Vorrei che ci fosse una fusione tra l’espressione del corpo e l’idea insita nella musica, per far sì che la danza diventi parte integrante di qualcosa che già esiste e che fondamentalmente ci unisce, come il simbolo dell’albero, delle sue radici e dei sogni.

Come procederai nella creazione e quale sarà lo stile della tua danza? Il maestro Riccardo Moretti interagirà con te in sala?
Sarò estremamente felice della presenza del maestro in sala, ma anche in sua assenza sarà come costruire il lavoro insieme e simultaneamente, non solo per il continuo dialogo tra di noi, ma anche perché la sua musica porta con sé la sua personalità, la sua creatività: è come se, attraverso le note, ci fosse sempre. Da parte mia cercherò di esprimere, attraverso la danza e i due interpreti, quella combinazione di ‘aria’ e ‘corpo’ che la musica possiede già in sé e che il maestro Moretti porterà in scena con il suo pianoforte.
La creazione nasce, in un certo senso, ‘contemporanea’ perché parla di un ciclo continuo del tempo, che lega, qui e ora, il passato al presente e al futuro; ma anche perché ci sono due interpreti giovani, ragazzi del nostro tempo, e la mia stessa gestualità, pur legata alla cultura del balletto in cui mi sono formato, si inserisce in un percorso di continua ricerca e sperimentazione. Sarà dunque come proseguire lungo questo tipo di ‘comunicazione’ legata inevitabilmente all’oggi.

Il debutto della creazione sarà a Parma, il 15 settembre, in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica. È inoltre prevista un’ulteriore rappresentazione al Teatro Goldoni di Venezia, il prossimo 27 gennaio 2020, nel Giorno della Memoria.
In che modo la danza può contribuire, attraverso il proprio linguaggio, ad onorare la memoria e ricorrenze così significative?
Credo che la danza sia qualcosa di atavico che accompagna e spinge da sempre l’uomo ad esaltare la commemorazione, il ricordo. La danza è uno dei momenti in cui l’essere umano può dar corpo al proprio vissuto e al sentimento che lo accompagna, portandolo a qualcosa di collettivo, di comune e profondamente libero, al di sopra di tutti noi. Quella libertà alla quale continuamente tendiamo. La danza dunque non può che aggiungere ulteriore profondità alla condivisione del ricordo e senso alla partecipazione collettiva. L’arte e gli artisti del resto imprimono con il loro gesto la vita di oggi, ricordando che è stata ‘passato’ e che da qui, da questo segno, diventerà ‘futuro’.

Cos’è per te il sogno?
Il sogno è tutto ciò che immaginiamo da ragazzini: attraverso i sogni facciamo esperienza di tutto quanto nella realtà non riusciamo a vivere. Quante volte la nostra fantasia, in sogno, ci suggerisce di correre velocissimi o persino di volare? È qui che trovo un legame essenziale con la danza, insita in quel volo immaginario. Non a caso, spesso, di fronte ad uno spettacolo o al salto di un danzatore esclamiamo con meraviglia: “è stato un sogno”. Tutta la leggerezza, l’armonia e l’inafferrabilità della danza non è che l’espressione più autentica del sogno.

Sei alla tua prima collaborazione con il Balletto di Roma: cosa ti aspetti da questa nuova esperienza?
Mi aspetto di ‘sorprendermi’… Tutta la mia vita artistica è stata sempre motivo di curiosità e scoperta: amo cercare, anche in quello che già conosco, nuove possibili sfaccettature. Il resto di questa esperienza al Balletto di Roma, la quotidianità, la scoprirò giorno per giorno e in sala con i danzatori. Si tratta di due ragazzi giovani con i quali cercherò uno scambio: sostengo la personalità e l’individualità dell’interprete per cui cercherò di comprendere le loro visioni sul brano e sulla musica. Sono molto felice di lavorare con questa importante realtà italiana di cui condivido e apprezzo da sempre l’impegno nella valorizzazione del prodotto e dell’eccellenza italiana. Penso ci sia tra noi un giusto incastro di visioni e valori per inziare a ‘costruire’ insieme.